Nel 2019 siamo finalmente riusciti a trascorrere un paio di giorni Belfast. Ci siamo arrivati in treno, da Dublino emozionati e carichi di entusiasmo in un soleggiato sabato di febbraio.
Raggiungere il centro dalla Stazione Belfast Lanyon Place è una breve passeggiata di un km, percorrendo la East Bridge Street in direzione ovest fino a Cormac Street, si gira a destra e poi subito a sinistra su May Street; poche centinaia di metri e si è già in Donegall Square, davanti al Belfast City Hall, uno splendido edificio degli inizi ‘900, che ospita uffici municipali, caffè, arte pubblica e un grande giardino in cui rilassarsi. (chi non avesse voglia di camminare può sempre prendere un autobus alla fermata appena fuori dalla stazione e scendere alla seconda fermata “May Street City Hall”; di lì sono 300mt)
L’accoglienza è sorridente e ammiccante, con il traffico cittadino, le vie dello shopping affollate e sullo sfondo i cantieri nautici, dove fu costruito il Titanic; ma è bastato incrociare una macchina della polizia (un Land Rover blindato) per capire che sotto il vestito impeccabile di una città moderna esistono ancora le cicatrici di un conflitto vecchio di ormai 50 anni e le cui radici affondano nel colonialismo e nelle lotte per i diritti civili.
Come ho già scritto: “Belfast non si visita, a Belfast si vive la storia”; certo ora non è più la città fantasma degli inizi anni ’60, una delle quattro “B” (Belfast, Beirut, Baghdad e Bosnia) che alcuni anni fa ai viaggiatori era consigliato evitare. Oggi Belfast si è ripulita, indossa abiti eleganti per dimostrare che i “Troubles” sono ormai un ricordo, ma in realtà quel conflitto prosegue anche oggi, seppur in maniera subdola e silenziosa, come fuoco sotto la cenere.
Il modo migliore per capire, per entrare dentro questa storia tormentata e ignorata e per rendere omaggio a chi ha sacrificato la propria vita in nome della libertà è il tour dei murales. I murales di Belfast sono un museo a cielo aperto, ogni dipinto insegna sul piano umano molto più di quello che possiamo aver letto sui libri, in ogni tratto si sente il cuore di chi lo ha dipinto e il desiderio di libertà.
La zona in cui si trova la maggiore concentrazione di murales è Gaeltacht Quarter, nella West Belfast, sicuramente uno dei luoghi più suggestivi della città; un quartiere che negli anni di maggiore tensione politica era un vero e proprio campo di battaglia: diviso da diversi orientamenti religiosi già in epoca vittoriana, questa zona di abitazioni operaie vide l’esasperarsi delle tensioni e dell’astio durante i Troubles a causa della Peace Line, creata nel 1970 per separare la parte lealista e protestante del quartiere intorno a Shankhill, da quella repubblicana e cattolica di Falls Road.
Oggi è possibile visitarlo in tutta tranquillità, a piedi (da soli oppure con un tour guidato) oppure in taxi con un Belfast Black Cab Taxi Tour; è anche possibile scaricare online la mappa dei murales.
Ad un primo impatto mi era parsa sgradevole questa sorta di “commercializzazione” dei “Troubles”, ma riflettendoci, ho capito che proprio grazie alle mappe e ai taxisti, migliaia di persone ogni anno possono visitare i murales e sentirne il cuore di chi li ha dipinti e grazie a ciò, questo pezzo di storia non sarà mai cancellato e resterà vivo nella memoria e nella mente di tutti.
La scelta per noi è stata inevitabile: West Belfast è circa a 20 minuti a piedi dal centro, e la passeggiata per visitare i murales è lunga più di 4 km (il che significa almeno 3 ore di cammino … troppe per chi ha solo un giorno e mezzo di tempo); così già prima di partire avevamo prenotato un Black Cab Taxi.
Paul, il tassista che ci è venuto a prendere davanti al nostro Hotel, ha l’aspetto proletario, l’età di chi ha vissuto l’esperienza che viene a raccontarci e negli occhi la stessa iride azzurra degli sguardi leggeri. Non nasconde di essere repubblicano e la cosa ci tranquillizza molto, infatti la nostra maggior preoccupazione era dover affrontare questo tour della memoria con un tassista ragazzino o, peggio ancora, uno qualunquista; come Gramsci anche noi odiamo chi non parteggia.
Percorrendo Falls Road sul suo taxi (che è realmente un black cab dell’epoca), e ascoltando le sue parole quando si fermava davanti ad ogni murales o davanti ad una targa in memoria di martiri repubblicani, abbiamo realmente vissuto la storia e ci siamo sentiti parte della comunità.
A Belfast ci sono vere cancellate, strade chiuse, muri divisori sopraelevati con lamiere e filo spinato. In West Belfast lungo la “Peace Line”, che si distende per quattro chilometri, ci sono sei cancelli, si alzano per sei metri, e si chiudono ogni sera alle 19:30; ogni entrata/uscita è composta da due cancelli separati da qualche metro di terra di nessuno, separano Shankill Road, quartiere lealista, da Falls Road, il quartiere a maggioranza repubblicana e indipendentista; servono (così dicono) ad arginare il rischio di nuovi attentati e ad evitare che si ripeta il passato. I muri, i cancelli a Belfast sono fisici e mentali e, nella loro cornice, la storia dei Troubles scorre attraverso i murales.
Siamo gli ultimi clienti della giornata e Paul non ha fretta di finire, inoltre gli abbiamo chiesto di non fermarsi davanti ai murales lealisti, così decide che c’è tempo e ci accompagna dove Fall Road diventa Andersontown, dove c’è il Miltown Cemetery, luogo di sepoltura di Bobby Sands e dei suoi compagni di lotta. Il cimitero è ampio e posto su una leggera collina. La tomba di Bobby Sands è a terra, sulla stessa lapide ci sono tre nomi, Bobby Sands, Terence O’Neill e Joe Mc Donnell. Accanto c’è la tomba di Kieran Doherty e quelle di molti altri volontari repubblicani, oltre agli Hunger Strikes anche altri morti in azione, come è ricordato sulle lapidi lucide e nere. Sono tutti ragazzi, il nodo alla gola impedisce di parlare e la rabbia impedisce alle lacrime di scendere. Non c’è tempo per vedere altro, siamo vicini all’ora di chiusura, un breve saluto e subito torniamo al taxi.
Il giro è finito, tornando indietro ripercorriamo Falls Road e attraversiamo uno dei famigerati cancelli per andare a scrivere i nostri nomi sul Muro della Pace, non so spiegare il perché, ma mentre il taxi attraversa il secondo cancello ed entra nella zona lealista, mi sento mancare il fiato, forse colpa del buio, che mi suggestiona e mi fa sentire in territorio nemico.
Il tempo di scrivere e ce ne andiamo, ora il taxi viaggia veloce, passando vicino all’interfaccia tra Shankill e Falls scorgiamo la Divis Tower, che durante i Troubles era diventata sede di un punto di osservazione dell’esercito britannico, accessibile solo tramite elicottero all’apice di quegli anni di sangue. Divis Tower è l’ultimo avamposto prima di defluire verso il centro della città e la City Hall di Belfast.
Quando Paul ci lascia davanti all’Hotel, siamo un po’ spaesati. Ci è difficile rientrare nella città elegante e turistica che avevamo lasciato solo 2 ore prima.
Lo salutiamo, come si saluta un amico, come se fosse scontato che presto ci saremmo rivisti davanti ad una birra e avremmo ripreso il nostro dialogo… in fondo perché no? Tutto è possibile
Rispondi