Ci sono 2 modi per andare da Arles a Sète in auto: percorrendo per poco più di un’ora l’autostrada che tocca Nîmes e Montpellier, oppure attraversare senza fretta il Parco Riserva Naturale della Camargue, regno dei cavalli bianchi, dei tori e dei fenicotteri rosa, respirando la brezza salmastra delle sue paludi. Quest’ultima opzione permette di vedere panorami unici e di visitare luoghi come Aigues Mortes, con la sua splendida cinta muraria e la torre medievale splendidamente conservati e i Domaines dei dei vin dessables: non si tratta dei soliti vigneti che siamo abituati a vedere; si tratta piuttosto di vigne circondate da paesaggi surreali, compesti da dune sabbiose, pinete, paludi e saline e su queste sabbie marine, trasportate dal vento e immerse in un clima a metà strada fra quello mediterraneo e quello continentale, mettono radici questi vigneti bellissimi, che regalano vini dal colore rosato in mille sfumature, che racchiudono le suggestioni del paesaggio, del terroir illuminato e scaldato dal sole del Mediterraneo, caratterizzato dal minerale, dall’apporto del sale, del vento, dell’argilla, delle piante di limone. Il mare ha un sapore: è quello dei vini della Camargue.
Distratti dai tanti colori e sapori per percorrere i 130 km, che separano Sète da Arles possono essere necessari anche due o tre giorni, ma ne vale sempre la pena.
Sète è una città d’acqua; collocata fra il golfo del Leone e l’Etang de Thau, si concentra tutta sul Canal Royal, la piazza pubblica dove confluiscono i canali più importanti; passeggiare per Sète significa percorrere uno splendido miscuglio di ponti e ponticelli, case ricoperte di tegole rosse, ampi calli e canali navigabili che fungono da approdi e che sono pieni di imbarcazioni, attraccate davanti ai palazzi antichi, ai negozi e alle brasseries.
Sète è la città di Georges Brassens; Brassens moustache e pipa eternamente in bocca, Brassens lo scrittore, il compositore, Brassens l’anarchico, Brassens il maestro, come lo chiamava Fabrizio De André, Brassens l’oratoria infarcita di provocazioni e le frasi punteggiate di gros mots sboccate che provocavano la censura, Brassens un vero poeta per il suo modo speciale di accostare parole per immagini, suoni, intrinseca musicalità, Brassens che García Márquez definì “il più grande poeta della letteratura francese del ‘900”. (Taccuino di cinque anni (1980-1984))

Qui a Sète Brassens nacque e visse i suoi primi diciotto anni, prima di trasferirsi a Parigi, qui a Sète chiese di essere sepolto con la Supplique pour être enterré à la plage de Sète; la canzone che diede il titolo all’album e che divenne il suo testamento messo in musica.
«Déférence gardée envers Paul Valéry, / Moi, l’humble troubadour, sur lui je renchéris,
Le bon maître me le pardonne, / Et qu’au moins, si ses vers valent mieux que les miens,
Mon cimetière soit plus marin que le sien, / Et n’en déplaise aux autochtones.»
La sua volontà, fu in qualche modo rispettata, infatti, quando il 29 ottobre 1981 morì di cancro a soli sessant’anni, fu inumato a Sète, nel cimitero Le Py, soprannominato il cimitero dei poveri, che è ancora più vicino al mare di quello denominato “marino”, che sovrasta Sète e in cui giace il poeta Paul Valéry.
Quando andammo a Sète nell’ormai lontano 2013, ci recammo visitare il cimitero dei poveri per rendere un saluto a quest’uomo che si definiva un “giardiniere di amici: nessuno mai ho lasciato senza cure e senz’acqua neppure per qualche giorno”.
Le Py non è un cimitero per turisti, non esistono piantine con la posizione delle tombe di personaggi illustri, nè ci sono cartelli indicatori; noi arrivammo poco tempo prima della chiusura e nel cimitero non c’era nessuno cui chiedere informazioni. Mentre ci stavamo domandando come trovare la tomba di Brassens un melodioso miagolio ci chiamò e un micetto molto aggraziato ci venne incontro. Non era il tipico atteggiamento del gatto che chiede cibo, era chiaro che voleva essere seguito, faceva brevi corsette in avanti per poi tornare subito indietro a strofinarsi nelle nostre gambe il tutto corredato da miagolii modulati e piccole fusa.
Adoriamo i gatti e nulla ci parve migliore che passeggiare con questo micetto dolce e simpatico; se anche non sapevamo dove era la tomba di Brassens, passeggiare con il gatto assolveva in qualche modo alla nostra voglia di rendergli omaggio.
È noto l’amore di Brassens per i gatti, un amore che riesce a superare il tempo e va anche nell’aldilà, come nel brano “Le testament”, dove detta le sue ultime volontà e immagina come potrebbe essere la vita qui, sulla terra, dopo la sua morte: non è importante ciò che accadrà, immagina che sua moglie vorrà sposarsi di nuovo e non si cura se il nuovo marito userà i suoi vestiti, se berrà il suo vino o addirittura se fumerà la sua pipa, ma che nessuno osi maltrattare i suoi gatti perché allora lui, dall’aldilà, correrà in loro difesa.
Continuammo a seguire il micio lungo i viali del cimitero fino a quando, questo usci dal vialetto, saltò su una tomba protetta da un grande cipresso e iniziò a strofinarsi sulla foto di Georges Brassens miagolando dolcemente quelle che a noi parvero le note di “Le testament”.
Dieu veuill’ que ma veuve s’alarme
En enterrant son compagnon,
Et qu’pour lui fair’ verser des larmes
Il n’y ait pas besoin d’oignon…
Qu’elle prenne en secondes noces
Un époux de mon acabit:
Il pourra profiter d’mes bottes,
Et d’mes pantoufle’ et d’mes habits.
Il pourra profiter d’mes bottes,
Et d’mes pantoufle’ et d’mes habits.
Qu’il boiv’ mon vin, qu’il aim’ ma femme,
Qu’il fum’ ma pipe et mon tabac,
Mais que jamais – mort de mon âme! –
Jamais il ne fouette mes chats…
Quoique je n’ai’ pas un atome,
Une ombre de méchanceté,
S’il fouett’ mes chats, y’a un fantôme
Qui viendra le persécuter.
S’il fouett’ mes chats, y’a un fantôme
Qui viendra le persécuter.
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